
Un cristianesimo liofilizzato e normalizzato
8 Novembre 2017
I giovani hanno il diritto di sapere
9 Novembre 2017Un amico ci ha reso un brutto servizio infornandoci che Udine, il 10 giugno scorso, ha ospitato il Gay Pride indetto da cinque organizzazioni locali LGBT e salutato festosamente dalla presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Deborah Serracchiani, e dal sindaco della città, Furio Honsell, nonché patrocinato — e questo è l’aspetto più scandaloso — dall’Ateneo friulano, per volontà del Rettore, Alberto De Toni. Che cosa c’entri l’Università, ente finanziato con denaro pubblico, con il Gay Pride, a parte i soliti slogan triti e ritriti contro la "discriminazione" (che ormai, se esiste, è diretta contro le persone normali e non certo contro i "poveri" omosessuali), nessuno lo sa. Così come nessuno sa che cosa ci sia da festeggiare e da congratularsi, da parte dei pubblici amministratori, per un evento del genere, che ha dato luogo al solito repertorio di volgarità, provocazioni, esibizionismi osceni.
Guardando, con infinita tristezza, le immagini dell’evento, e sia pure in ritardo di cinque mesi, un sentimento di rabbia e di desolazione montava dentro di noi, come la materializzazione di un incubo, come la profanazione di qualcosa di bello, di sacro: il ricordo della città natale, con tute le care memorie ad essa legate: memorie di una città civilissima, ordinata, seria, laboriosa, ancorata ai solidi valori del buon tempo antico; e una sorta di rigetto, di rifiuto, un desiderio di prendere le distanze, di ripudiare una città che si è prestata a una cosa del genere, che ha rinnegato la sua millenaria civiltà, per indulgere a farsi teatro di uno spettacolo che, con la scusa di rivendicare diritti civili e libertà, in pratica consiste nell’esibizione del peggio, sia in senso estetico che morale, di ciò che menti umane possano concepire, al preciso e maligno scopo di urtare, scandalizzare, offendere e "sporcare" la sensibilità altrui.
Inutile precisare che non si tratta di negare diritti o di esibire disprezzo per i "diversi", ma di reclamare rispetto per i valori e per la sensibilità delle persone normali, parola, quest’ultima, che già di per sé equivale a sventolare un panno rosso davanti a un toro infuriato, quando si ha a che fare con costoro: non, ripetiamo, con le persone omosessuali, ma con quella minoranza di esse che vuole esibire, ostentare e provocare con la propria diversità, salvo poi gridare al delitto di lesi diritti per non essere trattate da persone "normali", cioè come tutti gli altri; e che, mediante l’azione dei militanti LGBT, specialmente nelle scuole e negli asili, vuole imporre, aggressivamente, l’ideologia gender all’intera società, facendo il lavaggio del cervello ai bambini per convincerli che non esistono i generi maschile e femminile, ma solo una sessualità fluida, fatta di "orientamenti", che possono essere momentanei, e che dipendono dall’insindacabile capriccio della persona. Per cui, se oggi, o domani, un uomo si "sente" donna, ha il diritto di vestirsi con la minigonna e le calze a rete e di calzare le scarpe con i tacchi a spillo, e così pure il diritto di sporgere denuncia contro quelle persone che non apprezzassero la subitanea trasformazione, anche sul posto di lavoro, e rifiutassero di chiamare "lei", lui, o viceversa: perché ciò sarebbe la prova provata di un persistente, insopportabile pregiudizio di tipo omofobo, che va sradicato con le multe e la prigione, o almeno i corsi di rieducazione mediante i servizi sociali, se vogliamo che la società diventi finalmente civile, aperta e tollerante.
Il primo sentimento, dunque, era, come in una cocente delusione amorosa, esprimibile con queste parole: Ma questa non è più la nostra città! Non la riconosciamo, non c’è più niente fra noi e lei! Poi, placatosi il primo moto di ribellione e quasi d’incredulità, è subentrata una profonda mestizia, un senso d’impotenza, ma non di rassegnazione, accompagnato dalla certezza che anche molti abitanti non hanno esultato, ma hanno subito, con tristezza e vergogna, la "gioiosa" sfilata dei 5.000 per tutte le vie del centro, lungo i bei palazzi e i portici secolari; e, quindi, un senso di solidarietà con loro, con quella parte ignorata e disprezzata della popolazione, che poi, forse, è la maggioranza, ma che è costretta a tacere a causa del ricatto morale e culturale, come se disapprovare la volgarità e la cafonaggine di certe manifestazioni, e, naturalmente, il sovvertimento dei valori che esse simboleggiano sin troppo esplicitamente, equivalesse ad essere oscurantisti, retrogradi, intolleranti, bigotti e incivili. E allora si è fatto strada il desiderio di far conoscere la nostra simpatia e la nostra profonda consonanza a quei cittadini che, in strada, non c’erano, ma che hanno preferito chiudersi in casa, o farsi una gita fuori porta, per non vedere, per non sentire l’ostentazione di ciò che è contrario alla natura e alle leggi divine — ma non più alle leggi umane, cosa di cui costoro si fanno forti. Come se le leggi umane, così mutevoli e, talvolta, arbitrarie, come sono, costituissero l’unico legittimo sigillo per stabilire definitivamente come "normale" ciò che normale non è, e, quindi, per sovvertire l’ordine naturale delle cose: in questo caso, la naturalità e la sacralità della famiglia formata da un uomo, una donna e, possibilmente, dei bambini, non procurati con la pratica dell’utero in affitto, o con la tecnica della fecondazione eterologa, ma nati dall’amore di quelle due persone, un uomo e una donna, ripetiamo, perché tale è, ed è sempre stato, in tutte le civiltà e sotto tutti i cieli, il concetto di matrimonio, come del resto indica la stessa etimologia della parola: matris munus, compito della madre.
Ma non si tratta solo di questo, naturalmente. È tutto un nuovo paradigma che avanza, e che avanza in tempi rapidissimi, come se rispondesse a una precisa strategia e ad una altrettanto precisa regia: perché i cambiamenti culturali e sociali, di per se stessi, sono relativamente lenti, richiedono l’avvicendarsi di diverse generazioni, mentre qui, e non solo per ciò che riguarda il Gay Pride e la "filosofia" che lo sottende, i tempi sono stati quasi fulminei; nel giro di pochi anni si è attuato un completo capovolgimento di valori, una radicale inversione dell’orientamento complessivo – etico, estetico, spirituale, religioso — dei membri della civiltà occidentale (che vadano in Arabia Saudita, questi nostri progressisti, immigrazionisti, femministi e omosessualisti, a vedere come sono trattate le persone omosessuali in quel Pese, nonché come sono trattate le donne, peggio delle schiave!), con una spregiudicatezza, una velocità, una decisione, che fanno pensare a un piano orchestrati da tempo, finanziato dai poteri occulti che comandano il mondo e che controllano tutte le voci pubbliche, dalla televisione alla stampa, dalla scuola all’università (ed ecco il patrocinio di una pubblica università per una manifestazione come quella di Udine). Su tratta di una manovra a trecentosessanta gradi, che investe letteralmente tutti gli ambiti della vita pubblica e privata: dalla politica alla giurisprudenza, dallo sport al cinema, dalla cultura al tempo libero, dai fumetti alla musica leggera, dalle scienze umane alla religione, non c’è ambito nel quale tale rivoluzione non sia stata attuata e condotta a buon punto. Risultato: le persone che restano ancorate ai valori di prima, cioè validi e apparentemente condivisi fino a pochissimi anni fa, poi, improvvisamente, divenuti vecchi, decrepiti e ammuffiti nel giro di pochissimo tempo, si son trovate da un giorno all’altro ad essere reiette e sbeffeggiate, come dei veri e propri relitti della storia, come dei fossili viventi che possono solo aspettare di estinguersi, perché non servono più a niente e a nessuno. Si tratta sia di persone non più giovani, che sono cresciute in un ambiente e con una educazione completamente diversi da quelli odierni, e che stentano a capacitarsi che oggi sia divenuto giusto, bello e buono ciò che a loro è stato insegnato che è sbagliato, brutto e pessimo, sia di persone anche giovani, ma che, per un percorso personale di ricerca della verità, di tipo sia culturale che morale, sono giunte alle stesse conclusioni dei vecchi, e cioè a capire che una società non resiste, ma si autodistrugge, se continua a fare come la nostra, cioè a rivendicare sempre nuovi diritti individuali e a riconoscere sempre meno doveri, nonché a proclamare la fine della normalità e a riconoscere pieno diritto di cittadinanza a qualsiasi minoranza, di qualsiasi tipo, anche la più asociale e indisciplinata, cosa che introduce un disordine crescente e, alla lunga, assolutamente ingestibile, a tutti i livelli della vita sociale e, di riflesso, anche di quella individuale.
La situazione, pertanto, è questa. Le persone che, per età, per educazione o, comunque, per convinzione personale, non condividono il recentissimo capovolgimento dei valori che si è verificato nella nostra società, sono state rottamate, e, in un certo senso, è come se la società le avesse espulse da sé: le considera un imbarazzante retaggio del passato, una sopravvivenza di tipi arcaici destinati, per fortuna, a scomparire. D’altra parte, mentre una parte di queste persone sono afferrate in una spirale depressiva, e, guardandosi intorno, si sentono sempre più sole e smarrite, impossibilitate a condividere con altri le loro impressioni e ciò che il semplice buon senso suggerisce loro (per esempio, poter dire che le "opere" esposte a una certa Biennale di Venezia fanno schifo; o che accogliere milioni di stranieri non assimilabili non è generosità, ma follia; o, ancora, che andare in giro vestiti, o piuttosto svestiti, in maniera così impudica e provocatoria, come si fa oggi, specie da parte dei giovani, i quali non distinguono più i luoghi appropriati e sono capacissimi, per esempio, di presentarsi a un esame di Stato, oppure a una funzione religiosa in chiesa, indossando i Bermuda e calzando le pianelle, oppure in maglietta ultracorta e pantaloni attillatissimi, come se fosse la cosa più naturale del mondo (e che, in effetti, lo sta diventando, se per "normale" s’intende ciò che fan tutti), ebbene, un’altra parte di tali persone, non che scoraggiarsi, si domanda cosa sia possibile fare per contrastare la deriva relativista, buonista e anarcoide, che sta conducendo l’intera società, a partire da quella società elementare che è la famiglia, verso la deriva e l’auto-distruzione.
Dunque, se, da un lato, questo mondo di oggi, delineatosi negli ultimissimi anni, non è più il nostro mondo, e noi siamo estranei a lui quanto lui è divenuto estraneo a noi, dall’altra parte, è pur vero che rinunciare e rassegnarsi equivale a darla vinta agli autori di questa grande manovra di conquista della società, il che non è giusto e non è decoroso. Al contrario, sia per difendere noi stessi e ciò in cui crediamo — per esempio, una scuola pubblica nella quale non vengano a indottrinare i bambini con le teorie gender, o una università pubblica che non offra il patrocinio a manifestazioni culturali come il Gay Pride -, sia per difendere quelli che non possono difendersi da sé, ma stanno soffrendo, perché si vedono esclusi, rifiutati, emarginati, snobbati e ridicolizzati — i vecchi, per esempio, che dopo una vita di lavoro, invece del rispetto dei figli e dei nipoti, sono messi alla berlina per il loro "oscurantismo", sia, infine, per un senso superiore di giustizia, in quanto i valori fondanti della civiltà non sono negoziabili, meno ancora quelli della religione cristiana, per cui è sempre giusto e doveroso battersi, anche se non ci fosse più un solo uomo al mondo a condividere una tale battaglia, ci sembra che la sola cosa onesta da fare sia dire un bel no, forte e chiaro, alla presente deriva morale e culturale, e, per quanto sta in noi, lavorare, innanzitutto con l’esempio e la testimonianza personali, per ricostruire e riproporre alle giovani generazioni quella rete di valori, ideali e autentici bisogni (e non già di bisogni fasulli, creati artificialmente dal consumismo e ribattezzati, all’uopo, "esigenze") che ha retto il mondo per secoli e millenni e che ora, come colta da un raptus suicida, la modernità pare ben decisa a distruggere.
Infatti, amare qualcuno significa anche restargli fedeli, se pur tutti lo abbandonassero, e, soprattutto, se anche lui, proprio lui, tradisse se stesso, e divenisse indegno di quel che era stato, così come noi lo avevamo conosciuto. Amare qualcuno vuol dire avere pazienza con le sue contraddizioni, con le sue cadute, e, nello steso tempo, non assecondarlo nell’errore, non incoraggiarlo nelle sue debolezze, ma spronarlo a rialzarsi, a tornare ad essere quello che era, a tirar fuori la sua parte migliore e a lasciar stare la peggiore. Come quando si ama un vecchio amico, benché questi, a un ceto punto, sia cambiato in maniera impressionante, si sia lasciato andare, e sia diventato una persona, almeno in apparenza, completamente diversa. Ma, in profondità, forse è sempre lui, quello che avevamo conosciuto, apprezzato, ammirato: per fedeltà a lui non lo vogliamo abbandonare al suo destino, non vogliamo disinteressarci di quel che potrebbe accadergli, se lo lasciassimo solo. Forse, non gli è rimasto più nessuno al mondo, tranne noi. Allo stesso modo, dobbiamo pensare che, forse, a molte persone che vivono il presente disorientamento, e lo vivono con disagio, con amarezza, con sofferenza, sia giovani che anziane, forse non siamo rimasti che noi; forse non è rimasto nessun altro che le possa capire, che possa comprendere ciò che stanno provando, che possa condivide la loro pena, la loro tristezza e la loro solitudine; e che possa fare qualcosa per loro. La prima cosa che possiamo fare è dire a voce alta che ciò i cui esse credono, non viene meno, non scompare, né perde la sua validità, solo perché la moda del momento soffia in una direzione diversa, o solo perché una classe di pseudo intellettuali mercenari, di amministratori pubblici e di politici demagoghi, farebbe qualsiasi cosa pur d’ingraziarsi le masse e attirare le loro simpatie, cioè il loro consenso elettorale. Ciò che è vero, giusto e buono, rimane tale nei secoli dei secoli, anche se i progressisti credono d’averlo superato. Ma in ritardo sono loro, che rincorrono sempre la storia…
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