
Nega l’inferno chi non crede più in Cristo
7 Settembre 2017
Solo, sulla montagna, un bambino ode la Voce
9 Settembre 2017Qualcuno, ancora, c’è. Non molti, anzi pochi, pochissimi: ma buoni, in compenso, a volte perfino ottimi. Nel marasma della neochiesa, nell’apostasia generalizzata e mascherata, che sta trascinando molte anime alla rovina senza quasi che se ne accorgano (ed appunto è il "quasi" che dovrebbe fare la differenza), i veri sacerdoti ci sono ancora, nonostante tutto: saldi come la roccia, simili a dei fari che brillano nella notte e indicano la rotta ai naviganti smarriti. Per la grazia del Signore e non per merito loro, questi umili operai della vigna divina, quasi sempre lontani dai palazzi delle alte gerarchie e dalle aule delle facoltà universitarie, questi uomini di Dio ci confortano, con la loro sola presenza, con la loro testimonianza, per il fatto di esserci, e di essere così come sono: silenziosi, benevoli, accoglienti ma non permissivi, buoni ma non buonisti, aperti ma non relativisti, fiduciosi ma non sciocchi, con una luce soprannaturale che brilla nello sguardo e traspare dai loro gesti, dalle loro parole, e perfino dai silenzi: silenzi carichi di raccoglimento, di contemplazione, di preghiera. Che cosa fanno? Nulla di speciale, almeno in apparenza. Non si agitano necessariamente in qualche onlus (con tutto rispetto per quanti lo fanno), né offrono la loro chiesa — che non è loro, ma di Dio — come dormitorio a qualche decina di sedicenti profughi; non tengono veglie di preghiera contro l’omofobia, né invitano all’altare delle coppie omosessuali, durante la santa Messa, per presentarle ai fedeli con un sorriso smagliante, auspicando che presto possano coronare il loro sogno d’amore con tutti i crismi della Chiesa cattolica, e intanto prodigano loro sorrisi ammirati e compiaciuti, asserendo che il primo comandamento di Dio è quello dell’amore, e non importa chi o come si ama; e non invitano esponenti più o meno noti del Partito radicale, a tenere conferenze per i fedeli, sempre in chiesa, come fanno certi loro colleghi progressisti; infine, quando predicano o tengono la lezione di catechismo ai bambini e ai ragazzi, non si mettono a parlare dei diritti dell’uomo, o della questione ecologica, o della lotta contro i pregiudizi e del dovere dell’accoglienza di chiunque si presenti alla porta di casa: o, se per caso lo fanno, lo fanno a margine del loro discorso, che verte su Dio, sul suo Figlio unigenito Gesù Cristo, sull’azione salvifica dello Spirito Santo, sulla grazia e sul peccato, sul bene e sul male, sul giudizio e la vita eterna, il paradiso e l’inferno. Lo fanno a margine, non nel senso che le questioni sociali e ambientali non siano importanti, ma ne senso che tutto, per il cattolico, è subordinato a Gesù Cristo: e la vera dottrina cattolica non può essere mutata a capriccio di qualche prete o di qualche teologo in fregola di modernismo, che mettono Buddha e Gesù Cristo sullo stesso piano, che chiudono un occhio, o magari due, sull’aborto e l’eutanasia, e che si preoccupano sempre di amare i lontani, i diversi, gli "ultimi", e non si accorgono che gli ultimi siamo diventati noi, sono diventati i nostri vicini, i nostri vecchi, abbandonati a se stessi, dopo una vita di onesto lavoro, nelle periferie invase da immigrati incivili, prepotenti, dove regnano droga e prostituzione, e dove, per scippare la borsa a una pensionata, non si fanno scrupolo di sbatterla a terra e mandarla all’ospedale, se non peggio, mentre i nostri giovani non trovano lavoro e sono costretti a cercarlo all’estero; e i nostri commercianti, artigiani e piccoli imprenditori, vengono rovinati dalla crisi, espropriati dal fisco, truffati o strangolati dalle banche ove avevano depositato i loro risparmi o alle quali avevano domandato un prestito. Questi sono oggi gli ultimi, perché nessuno li difende, nessuno si prende a cuore le loro difficoltà: la misericordia e la solidarietà sono tutte per gli altri, per queste orde di africani, di asiatici, di musulmani, i quali vengono non si sa da dove, e fuggono da non si sa cosa, magari dallo stregone che ha fatto loro una fattura, o dai parenti della ex fidanzata che vogliono far loro la pelle perché non l’hanno più sposata, o dalle leggi omofobe che perseguitano gli omosessuali: e giù i minchioni a redigere un verbale: il Tal Dei Tai dichiara di aver dovuto fuggire dal proprio Paese (quale, in realtà? bisogna fidarsi sulla parola), perché in pericolo di vita a causa di, eccetera, eccetera: peccato che non siano stati affatto maleficiati dagli stregoni, né perseguitati dai parenti della ex fidanzata, e che non siano nemmeno omosessuali: ma tant’è, basta raccontare una storiella qualsiasi e si entra nel girone dei richiedenti asilo, ci si fa mantenere gratis per un paio d’anni, rifiutando il cibo perché "monotono" e incrociando le braccia se ci sono delle foglie da spazzare in cortile, perché i richiedenti asilo hanno dei diritti ben precisi da far valere, via, non scherziamo, se no vanno tutti quanti in processione dal prefetto a protestare, e se non basta ancora, si rivolgono all’Alta Corte di Giustizia delle Nazioni Unite, perché l’Italia è inadempiente, non li tratta bene, non garantisce loro una assistenza decorosa, non ci sono nemmeno le docce con l’acqua calda (in estate); figuriamoci in che razza di Paese di negrieri e di trogloditi quei poveretti son capitati.
Ora, mentre i preti di sinistra sono tutti presi dalla foga di mostrarsi solidali e accoglienti con questi profughi/invasori, così come esorta e ordina papa Francesco, e come pretendono i prefetti, il capo del Governo e il capo dello Stato, tutti insieme e solidali, a loro volta, con George Soros, chissà come mai, e con i poteri forti della finanza internazionale, il vero prete non perde la tramontana, non si discosta di un millimetro dalla sua missione: annunciare il Vangelo e cercar d’incarnare, nella sua stessa vita, il modello unico e perfetto rappresentato da Gesù Cristo. Va da sé che l’uomo di Dio non nega aiuto ad alcuno: ma non si mette a distribuire denari a chi non ha voglia di lavorare, a chi si finge povero e bisognoso solo per farsi mantenere gratis, a chi ha bisogno di soldi per comperarsi la droga o gli alcolici. L’uomo di Dio non ha il compito di rimettere a posto le storture di questo mondo: per un simile compito, o meglio, per un simile tentativo, che resterà sempre più o meno utopistico, ci sono gli amministratori, i sindacalisti, i politici, i giuristi, gli economisti, i sociologi, gli urbanisti, e chi più ne ha, più ne metta. Ma l’uomo di Dio è insostituibile, perché è stato consacrato quale sacerdote, cioè quale alter Christus: lui, e lui solo, può amministrare il sacramento della penitenza, così come quello della santa Eucarestia (pessima idea, quella di affidare quest’ultima funzione anche ai diaconi, e magari alle diaconesse); a lui, e a lui solo, è stata data la facoltà di legare o sciogliere il peccato che tiene l’uomo separato dalla santa Chiesa e dalla riconciliazione con Dio: queste cose non le possono fare né l’amministratore, né il sindacalista, né il politico, né il giurista, né l’economista, né il sociologo, né l’urbanista. Ma come, obietterà il cattolico progressista, forse che un buon prete non deve farsi carico anche dei problemi concreti e materiali delle sue pecorelle? Nossignori: non è questa la sua missione. Se può aiutare, aiuta; ma la sua missione non è quella; egli non è stato mandato nel mondo per rimediare alle cose che non funzionano, o alle situazioni di bisogno, sul piano materiale ed economico. Niente affatto. Egli è stato mandato nel mondo per riaccendere nei cuori e nelle anime il sentimento di amore filiale per Dio Padre, Creatore onnipotente del Cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili; la gratitudine per il suo Figlio divino, che si è incarnato e ha dato la sua vita per amore nostro; e per suscitare la fede e l’abbandono all’azione dello Spirito Santo, che trasmette all’uomo, mediante la Grazia, la vita divina e lo rende a pieno titolo figlio di Dio, piegando e rimuovendo l’ostacolo rappresentato dal peccato.
Il vero uomo di Dio ha sempre rappresentato un elemento certezza, di conforto, una presenza spirituale in un mondo sprofondato nella dimensione materiale. Purtroppo, a partire dalla "stagione" del Concilio Vaticano II, le cose sono cambiate. Un vento di follia — come ha detto un autorevole prelato — ha fatto irruzione nel clero, ha traviato moltissimi sacerdoti e anche un buon numero di vescovi, i quali, capovolgendo la prospettiva del loro ministero e venendo meno al sacro impegno che si erano assunti al momento dell’ordinazione, invece di avvicinare gli uomini a Dio, si son messi ad avvicinare la dottrina cattolica agli uomini, abbassandola, svuotandola, banalizzandola, e infine riducendola a un vuoto e scipito umanitarismo, adatto per tutte le stagioni, amorfo, indifferenziato, nel quale potrebbero tranquillamente riconoscersi perfino i peggiori nemici del Vangelo: i fautori del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, del cosiddetto matrimonio omosessuale. Impazziti, hanno incominciato a stravolgere la liturgia, a sovvertire la pastorale, a modificar perfino la dottrina; hanno smesso di parlare del male e del bene, del peccato e della grazia, del giudizio e della vita eterna, e s’infervorano a parlare sempre e solo della misericordia di Dio, della solidarietà fra gli uomini, dell’ambiente da proteggere, della pace da preservare, riducendo il cristianesimo a un fatto zuccheroso, mondano, emotivo, buonista, immanente, una religione da supermarket, paghi due e compri tre: senza respiro soprannaturale, senza afflato divino, senza l’aria e la luce che vengono solo da Cristo, morto e risorto per noi, e che tornerà sulla terra per giudicare i vivi e i morti. Si direbbe che costoro si siano dimenticato il Credo: e che, quando lo recitano, per obbligo d’ufficio, non vi prestino un’intima adesione, non meditino quelle parole e quei concetti, tutti presi dalla furia di agire qui, adesso, concretamente, visibilmente: hanno fatto una sbornia di marxismo e di teologia della liberazione, si sentono vescovi e preti "di strada" e se ne vantano, mentre l’unica professione di strada che la società conosca è quella delle signorine che passeggiano sui marciapiedi dopo il calar del sole. In breve, hanno ridotto il cattolicesimo al livello di una farsa, la dottrina a una buffonata, la liturgia a un ghiribizzo anarcoide, dove ciascuno è libero d’improvvisare, d’inventare, di sperimentare qualsiasi cosa, anche la più pacchiana, inadatta e perfino sacrilega. Introdurre la statua del dio indù Ganesha in una chiesa cattolica, ad esempio, fra il tripudio dei suoi devoti: come si dovrebbe qualificare una tale iniziativa da parte del parroco di quella parrocchia?
I preti progressisti e "di strada", oggi, godono della benevola attenzione dei mass media e sono portati in palmo di mano dalla gerarchia della neochiesa: valga per tutti la solenne riabilitazione, da parte di papa Francesco, di quel cattivo maestro che è stato don Lorenzo Milani, fomentatore del rancore sociale e personaggio dubbio anche sul piano delle inclinazioni personali. I preti secondo la volontà di Dio, invece, non cercano la notorietà, non vanno in televisione, non rilasciano interviste, né sobillano i loro piccoli parrocchiani contro le loro maestre e professoresse, accusandole aspramente, con tono da tribunale giacobino, di orribili misfatti classisti e anti-popolari; e nemmeno si auto-investono della missione di novelli Mosè venuti a salvare i profughi dalle acque, facendo i telefonisti a tempo pieno per conto delle navi cariche di clandestini e quindi, indirettamente (o forse anche direttamente) agevolando il servizio taxi per conto dei criminali scafisti che si arricchiscono sulla pelle di quei disgraziati. No: il vero uomo di Dio è un punto di riferimento spirituale e morale, un presidio della vera dottrina, un esempio di amore a Dio e al prossimo, ma nella giustizia e nella verità. L’amore senza verità e la misericordia senza giustizia non appartengono al cattolicesimo e non sono le virtù che un uomo di Dio deve possedere. Questo va detto una volta per tutte. Non è vero che basta l’amore, che basta la solidarietà, che basta la misericordia: chiunque può offrire tali cose, magari per un fine strumentale o perfino abietto; anche un delinquente, anche un mafioso; ma solo il cristiano fa tutto per amore di Dio, dunque nella verità e nella giustizia. Ne consegue che il vero uomo di Dio vuol bene a tutti, ma non approva il peccato; dice di sì quando è possibile, e dice di no quando non è possibile: non sacrifica mai la verità e la giustizia, non umilia mai il suo ministero approvando cose sbagliate o peccaminose; e non butta via il Corpo e il Sangue di Cristo, pagati a così caro prezzo con la sua Passione, dando la Comunione a dei peccatori impenitenti. E se l’enciclica Amoris laetitia dice il contrario, ebbene, sbaglia: significa che essa non appartiene al vero Magistero della Chiesa, perché il Magistero non può contraddire e smentire se stesso, e la Chiesa, per circa duemila anni, a proposito di matrimonio e divorzio, ha detto sempre la stessa cosa, la stessa cosa che ha detto Gesù Cristo, e non ha mai mutato posizione: l’uomo non divida ciò che Dio ha unito. Senza se e senza ma.
Poiché pensano solo al bene delle anime e non cercano affatto la visibilità, non scrivono libri (di solito), non fanno parlare di sé per via della Messa con i burattini o della discoteca post Messa, e nemmeno per essere amici viscerali dei transessuali e degli invertiti, o per il fatto di candidarsi alle politiche in qualche partito di sinistra, il cui programma è in stridente contrasto con la morale del Vangelo, i veri sacerdoti passano inosservati, tranne che per i loro parrocchiani, e scusate se è poco. Per i loro parrocchiani ci sono, sempre. Ci sono sull’altare, ci sono nel confessionale, ci sono in oratorio, ci sono nella benedizione delle case (mentre i preti modernisti non vanno più a benedirle, non hanno tempo e poi, in fondo, la considerano quasi una forma di superstizione). I veri sacerdoti sono sempre tranquilli, sereni, accoglienti, anche se hanno problemi d’ogni tipo, in parrocchia e nella loro famiglia di origine; sono benevoli, affettuosi, aperti, ma, se necessario, sanno anche essere giustamente severi. C’è bisogno anche di quello: altrimenti si scivola nella religione buonista e da supermercato. Uno di questi sacerdoti silenziosi, umili, attivi, spiritualmente presenti e di autentico conforto per il loro piccolo gregge, è stato Heinrich Videsott, meglio noto alla sua gente come don Enrico, che qualcuno ha definito "il padre Pio delle Dolomiti" per la sua vita esemplare e per il modello di autentica santità che egli ha rappresentato, per tanti anni, nelle valli alpine dove ha svolto il suo sacro ministero; e realmente è possibile che, fra qualche anno, il suo nome andrà ad aggiungersi a quelli dei santi riconosciuti come tali dalla Chiesa cattolica, e offerti alla devozione dei fedeli. Ma per quelli che l’hanno conosciuto nella sua lunga e benefica esistenza terrena, non c’è alcun dubbio: don Enrico era un santo, come Jean-Marie Vianney lo era per gi abitanti di Ars.
Nato il 3 luglio 1912 a San Lorenzo di Sebato, in provincia di Bolzano, da umile famiglia, la sua vocazione è stata precoce: si diploma al Liceo Classico nel 1932 ed è ordinato nel 1937. Viene destinato a una quantità di parrocchie, come cappellano, fra le quali Cortina d’Ampezzo, fino al 1947; valente grecista e latinista, ottimo predicatore, è però talmente umile, così amante del nascondimento, che i suoi superiori quasi non si accorgono di avere una perla nella loro diocesi e lo lasciano senza un incarico stabile fino alla bella età di cinquantadue anni. Finalmente viene nominato parroco a La Valle (Wengen in tedesco), in Val Badia: un paese ladino di appena un migliaio d’abitanti, sospeso a 1.350 metri d’altezza: si direbbe più un ulteriore nascondimento che una promozione. Ma lì, per trentacinque anni, don Enrico spanderà la fragranza della sua bontà, della sua dedizione, del suo immenso amore a Gesù Cristo e ai suoi parrocchiani: tanto che il suo nome finirà per superare gli angusti confini della valle dolomitica, si spargerà per l’Italia e per l’Europa, e, in certi casi, anche oltre, richiamando nella parrocchia alpina una quantità di persone, tutte catturate, affascinate dalla semplice, mite, radiosa personalità di quel vero uomo di Dio. Ecco uno di quei rari esempi nei quali la cultura non genere superbia, l’intelligenza non produce orgoglio, la capacità oratoria non fa smarrire i concetti semplici, chiari, di cui deve servirsi un sacerdote per farsi comprendere da tutte le anime a lui affidate, anche dai bambini. Si parla anche di miracoli, di guarigioni straordinarie: su ciò, sospendiamo il giudizio; non lo abbiamo conosciuto, non siamo in grado di esprimere un parere, che, del resto, spetta a comunque ad altri. Ma non ci stupirebbe se tali voci avessero un solido fondamento di verità. Il sacerdote che è in grazia di Dio, riceve anche i carismi straordinari che Dio gli dona, perché egli si è annullato in Lui: non ha forse assicurato Gesù stesso che, a chi avrà rinunciato alle cose di questo mondo per seguire totalmente il Vangelo, verrà restituito cento volte di più? Certo è che, quando do Enrico si spegne, serenamente, nelle prime ore del 9 dicembre 1999, sono i suoi parrocchiani che gli domandano un’ultima benedizione: ed egli la impartisce loro. Bisogna dire che don Enrico aveva un’altissima idea della benedizione sacerdotale (in controtendenza, anche su questo punto, con le idee di molti, troppi sacerdoti progressisti e semi-modernisti): per lui, essa era la donazione della santità stessa di Dio, e pertanto un bene preziosissimo, insostituibile, incommensurabile.
Ecco come ne delinea il ritratto il giornalista Paolo Risso – collaboratore anche della rivista Il Timone – sul bimestrale La Voce, delle Figlie di S. Maria della Provvidenza, Opera Femminile Don Guanella (n. maggio-giugno 2017, pp. 12-15):
AL CENTRO DI TUTTO: GESÙ CRISTO DA AMARE, adorare, imitare, vivere e annunciare ai fratelli. La sua unica passione: il Santo Sacrificio della Messa. […]
Ora non fa altro che obbedire al suo Vescovo che lo manda là dove c’è più bisogno di un sacerdote tutto di Dio. Lui non cerca la carriera e neppure il primo posto, anzi si direbbe che gli piace stare all’ultimo, ma sempre in prima linea per essere e fare il prete, all’altare con la Santa Messa, al confessionale a donare il perdono il Dio, sul pulpito a predicare il Vangelo, e l’amore a Gesù, la conversione delle anime; nelle case e nelle vie, dovunque si vive e si soffre, a portare la luce e la consolazione della Fede.
SA CHE SOLO IL SACERDOTE — LUI STESSO — PUÒ DONARE A PIENE MANI GESÙ, UNICO SALVATORE. Don Enrico lo fa nelle diverse sedi dove è inviato […]. Pare debba avere sempre la valigia in mano, ma lui è lieto perché dovunque ci sono l’altare e il Tabernacolo e ciò basta per essere felici. […]
IL SUO PRIMO MODELLO per essere conforme a Gesù Sommo ed eterno sacerdote, È S. GIOVANNI M. VIANNEY, IL SANTO CURATO D’ARS, quindi s. Giuseppe Cafasso, p. Pio da Pietrelcina ancora vivo e operoso al massimo a S. Giovanni Rotondo, tutti sacerdoti che vivono soltanto per Dio e per le anime da salvare e da condurre in Paradiso. Il testo più caro che medita è quello che nei Vangeli racconta la passione di Gesù, consapevole che per portare le anime a Dio, IL SACERDOTE DEVE VIVERE DI GESÙ CROCIFISSO che offre al Padre nel Santo Sacrificio della Messa.
Capita così che l’ancor giovane don Enrico ha già tanti "figli spirituali". Si narra già di conversioni e di guarigioni, a dir poco singolari, operate da lui che, sempre più, appare avere il "filo diretto" con Dio: GESÙ OPERA PRODIGI PER MEZZO SUO. […]
Non prende iniziative eclatanti, non compie grandi imprese agli occhi del mondo, ma È SACERDOTE, SOLO E SEMPRE SACERDOTE, cioè "alter Christus" che adora Dio e si immola per la sua gloria, che si dedica giorno e notte alla salvezza delle anime. Questo deve fare il sacerdote. Come già altrove è passato, diventano famose e ricercate le sue "benedizioni", quando don Enrico benedice, le cose cambiano: lontani da Dio ritornano a Lui, malati guariscono, ragazzi trovano la retta via, bambini nascono da genitori prima impossibilitati ad averne, soluzioni si prospettano per problemi insolubili. UNA FOLLA DI ANIME SENZA CONFINI VA A FARSI BENEDIRE DA DON ENRICO, a consigliarsi da lui, a partecipare alla sua Messa. LA SUA "BENEDIZIONE", come spiega, è SOLO GESÙ CRISTO, la "benedizione" per eccellenza, con cui, citando S. Paolo "siano stati benedetti da Dio in Cristo" (Ef. 1, 3).
Scrive Cristina Siccardi nel libro "Don Enrico, vita e testimonianza" (Comitato Amici di don Enrico, 39030 La Valle, Bolzano): "DON ENRICO ERA SACERDOTE DA CAPO A PIEDI. Celebrava la S. Messa con tutto l’ardore di un prete che ha compreso che cosa significa essere ministri di Dio. Confessava, amministrava i Sacramenti, predicava, pregava e benediceva. Tutto il resto era per lui perdita di tempo e, soprattutto, perdita di Dio. La gente, d’altro canto, da lui non cercava altro, se non che continuasse a essere don Enrico, colui che con i suoi occhi imbevuti di tenerezza e di trasparenza ultraterrene, sapeva ascoltare e guidare secondo un unico metro di misura, la Verità portata da Cristo, trasmessa alla Chiesa dalla Tradizione. Finivano gli incontri, ma proseguiva il legame d’anima attraverso lo strumento principe di collegamento tra le creature e il Padre, la preghiera. Si interessava di tutti e di ciascuno. DON ENRICO ERA UN SACERDOTE REALIZZATO E FELICE DI ESSERE SACERDOTE" (pp. 19-20).
Già prima, ma ancora di più quando don Enrico arriva come parroco a La Valle (1964), soffia un vento infido che qualcuno molto alto, come il card. Charles Journet, definisce "un vento di follia", e pare che anche là dove dovrebbero ardere e brillar ei fari, venga via via a mancare la luce.
Che fa don Enrico? EGLI RIMANE FORTE E STABILE NELLA FEDE CATTOLICA DI SEMRE e non si fa influenzare dal vento rivoluzionario del modernismo, entrato anche tra uomini di Chiesa. Fede sacrificio, rinuncia e abbandono alla sua volontà sono le sue linee e al centro della sua vita intera, ci sono il Sacrificio della Messa e la preghiera; non ha altri interessi al di fuori di Dio, di Gesù Cristo, della Madonna e dei suoi "figli spirituali", che axccorrono non solo dalla sua parrocchia e dintorni [La Valle in Val Badia], ma da tutto il Tirolo, dal Nord Italia, dall’Austria, dalla Svizzera, dalla Germania e dall’Europa orientale: a volte vengono anche dall’Africa e dal Messico.
TUTTI ALLA RICERCA IN LUI non dell’uomo brillante, non di un cattolicesimo diventato solo umanitarismo o educazione civica senza il soprannaturale — come dilaga in gran parte oggi con danno immane delle anime — MA DELLA VITA DIVINA, DELLA GRAZIA SANTIFICANTE E DELLA SALVEZZA ETERNA: proprio il contrario di quanto propaga il razionalismo del XIX e del XX secolo; o quella strana "religione dimezzata" della misericordia senza la Verità.
Quando ci siamo imbattuti nella storia di questo uomini di Dio, di questo umile sacerdote che ha dedicato tutta la sua vita alla preghiera, alla celebrazione della santa Messa, al sacramento della Confessione, all’amore dei suoi parrocchiani, ne siamo rimasti toccati: oh, se ce ne fossero tanti, tanti altri come lui, specie in questo momento storico così difficile, così tribolato per i cattolici, sottoposti alla duplice pressione del mondo profano, che disprezza Dio e la fede, e del clero infedele e modernista, che vorrebbe stravolgere la dottrina e dare un altro significato al cattolicesimo! Ma forse, chi lo sa, ci sono: ci sono e non li vediamo, non li sentiamo, perché non si agitano, non saltano né ballano, non cercano di piacere alle folle. Sia lodato Dio che ce li manda, per sostenerci…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash