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Dovevamo capirlo subito: l’ha detto lui stesso

C’è una cosa che fa quasi rabbia, nel pontificato di papa Francesco: il fatto che ci sia voluto così tanto tempo perché una minima parte dei cattolici realizzasse che non è un papa e che non è cattolico; mentre ancora la maggioranza dei credenti lo crede, imperterrita, e, anzi, va in estasi davanti a questo pontefice così cordiale, così alla mano, così anticonformista, insomma, così autentico sul piano umano…

Fa quasi rabbia, perché gli elementi per capire che egli non agisce come un papa deve agire, e che, anzi, agisce e parla al contrario di come un papa deve parlare e agire, c’erano tutti, fin dall’inizio, fin dal primo istante, cioè dal suo saluto alla folla dal balcone di Piazza San Pietro, quella sera del 13 marzo 2013. C’erano prima ancora, a dire il vero: nelle inverosimili "dimissioni" di Benedetto XVI (ma un papa può davvero dimettersi, così come un ragioniere si licenzia dal suo ufficio, o come un altro, la sera, si toglie il suo vestito spiegazzato, e lo mette nella cesta della roba da lavare?), e anche nella mancata elezione del cardinale Angelo Scola, che tutti sapevano, che noi tutti sapevamo, essere il naturale erede di Ratzinger, dal momento che era il suo delfino e avrebbe rappresentato il necessario elemento di continuità, appunto se si voleva limitare il danno, già gravissimo, di quelle inaudite dimissioni, e medicare, se possibile ricucire, la piaga che s’era aperta nella coscienza dei fedeli…

Che Bergoglio non avesse alcuna intenzione di fare il papa dei cattolici, cioè custodire fedelmente la Rivelazione divina, e confermare il Magistero, così come esso si è definito nel corso di duemila anni di storia (e non solo nel corso degli ultimi cinquant’anni, come sostengono i fanatici del Vaticano II), e che egli non fosse nemmeno animato dalla vera fede cattolica, ma da tutt’altri sentimenti e da tutt’altro programma, lo si era capito praticamente subito. Eppure, anche noi, come tanti, abbiamo esitato; anche noi, come tanti, abbiano voluto sperare che le cose non fossero così come, inequivocabilmente, apparivano. Siamo stati timidi; abbiamo creduto che bastasse abbandonarsi alla protezione e all’ispirazione dello Spirito Santo, per avere la certezza che la Chiesa sia sempre in buone mani. Ma non è vero. Lo Spirito Santo fa quasi tutto, ma non tutto; altrimenti, non ci sarebbe il libero arbitrio e avrebbero ragione i luterani, l’uomo sarebbe un burattino, inclinato irreparabilmente al male, e dunque l’unica cosa da fare, sempre e comunque, sarebbe lasciar fare ogni cosa a Dio. Invece Dio fa ogni cosa, sì, ma attraverso la buona volontà degli uomini; e una sola cosa non può fare mai, né la vuol fare: imporre agli uomini la Verità, costringerli ad amare il Bene. Questo non lo può e non lo vuol fare: perché ci ha creati simili a Sé, e dunque liberi e capaci di scegliere, pur se portiamo dentro noi stessi la pesante eredità di Adamo e di Eva, le conseguenze del Peccato originale.

Dunque, anche noi abbiamo taciuto e sperato, contro ogni evidenza. Per più di tre anni: e ci fa quasi rabbia, adesso che le cose sono giunte ad un livello di evidenza quasi intollerabile e che, soprattutto, è divenuto ormai così difficile riparare i danni gravissimi che sono stati inferti, e che ogni giorno vengono inferti, al corpo vivo della Chiesa di Cristo: perché, come costui si era affrettato a dichiarare, fin dai primi giorni, la sua intenzione era (ed è) quella di cambiare la Chiesa, cioè di creare una situazione di non-ritorno: di ipotecare anche il futuro, in maniera tale che, dopo di lui, nessuno avrebbe potuto ripristinare la situazione precedente. Parole di una gravità estrema, niente affatto cattoliche, niente affatto prudenti: perché se un cattolico non oserebbe mai dire che la Chiesa deve essere cambiata, tanto più da un uomo solo, perché ciò è la stessa cosa che dire che la Chiesa, così com’è ora, è sbagliata, nessuno che possieda un minimo di buon senso, nonché di modestia, non vedrebbe come sia follia creare una situazione senza ritorno da parte di un uomo solo, il quale, dopotutto, potrebbe anche sbagliare: e se stesse davvero sbagliando, le conseguenze sarebbero traumatiche e irrimediabili. Quale persona in buona fede oserebbe mai fare una cosa simile, per esempio, non già per il futuro di milioni e milioni di persone, anzi, di anime, ma anche solamente per il futuro dei suoi cari? Quale padre prenderebbe a cuor leggero delle decisioni che cambieranno radicalmente la vita dei suoi figli, senza accertarsi che esse tengano conto del loro vero bene? Mai e poi mai un papa, la guida spirituale di un miliardo e tre milioni di cattolici, ha il diritto d’impegnare la fede di tutte quelle anime, e di metterla a rischio, con quel che comporta sul piano della vita eterna, sulla base di una scommessa basata solamente sulla sua presunzione d’essere nel giusto, secondo la filosofia del o la va, o la spacca.

Qualcuno dirà che stiamo facendo il processo alle intenzioni di papa Francesco, e che egli, forse, non solo ha soppesato, in maniera ponderata e sofferta, la decisione di imprimere una svolta radicale alla Chiesa, ma che è assolutamente certo di fare il suo bene, vale a dire il bene delle anime affidate alla sua custodia. Ebbene, questa è una posizione insostenibile, perché è lui stesso a smentirla. Lo aveva detto: lo aveva detto fin dai primi mesi del suo pontificato, con quella famosa, e terribile, intervista, rilasciata al gran capo di tutta la cultura anticristiana, radicale e massonica italiana, l’ex direttore de La Repubblica Eugenio Scalfari, punta di lancia del laicismo e del secolarismo nostrani. E non si venga a dire che quella intervista, pubblicata su quel giornale il 1° ottobre del 2013, non riflette fedelmente il pensiero del papa; non lo si venga a dire, perché, anche se Scalfari, in un secondo momento, ha ammesso di non aver riportato con assoluta fedeltà le parole del papa, ha però anche dichiarato – e nessuno lo ha smentito – di aver ricevuto, prima della pubblicazione, il placet del segretario del papa, Xuareb. Non solo: il papa non ha mai negato di avere espresso quei concetti, anche se, forse, con parole leggermente diverse (a proposito di registratori: ci riferiamo a quel che ha recentemente dichiarato il nuovo generale dei gesuiti, un beniamino del papa, Arturo Sosa Abascal, cioè che al tempo di Gesù non c’erano i registratori, dunque noi non sappiamo con certezza quel che Egli ha detto e fatto; ma, a quanto pare, non c’erano nemmeno nella stanza del colloquio fra il papa e Scalfari, benché siano stati inventati da un bel po’ di tempo). Dopo di che, l’intervista è diventata un libro, pubblicato dall’editore Einaudi di Torino; e, di nuovo, né il papa, né un suo portavoce, hanno fatto una piega. Non ha importanza sapere se Francesco non abbia voluto rimangiarsi, anche solo parzialmente, le cose che aveva dichiarato al suo interlocutore; o se, addirittura, per superbia e vanità, non abbia voluto mostrare ripensamenti e, col suo silenzio, abbia tacitamente approvato anche quel che, forse, non aveva detto: noi non possiamo fare ipotesi, almanaccare su quel sia stata la verità di quel colloquio, al di là di ciò che i due interlocutori hanno poi riferito, o confermato, direttamente o indirettamente.

Ed eccoci al punto: subito, fin dall’inizio, il papa dichiara due cose sconvolgenti: primo, che la Chiesa deve smetterla di annunciare il Vangelo, poiché il proselitismo è solenne sciocchezza; secondo, che il compito del cattolico è quello di accompagnare chiunque verso la sua verità personale, non verso la Verità, cioè verso Cristo. Due affermazioni gravissime, scandalose, eretiche: due autentiche bestemmie. Ma eravamo tutti un po’ troppo timidi, un po’ tropo rispettosi nei confronti del successore di Pietro. Davamo per scontato che lo Spirito Santo faccia tutto da solo; non abbiamo tenuto conto che lo Spirito Santo non può annullare la nostra volontà. Se un essere umano decide di voltare le spalle a Dio, è libero di farlo; se un cattolico, e perfino il papa, vogliono rinnegare la loro fede, per giunta fingendo di averla ancora, gettando così le anime degli altri nella confusione, nella tristezza e nel turbamento, lo possono fare: Dio non è lì, in agguato, pronto a intervenire, a fulminare il sacrilego. La strategia di Dio non è quella di annullare i piani del diavolo, ma di aiutare l’uomo a contrastarli: vuole che sia l’uomo a vincere la battaglia contro il male; Lui, l’ha già vinta una volta per tutte: quando ha mandato suo Figlio fra noi, a morire sulla croce per noi, e a risorgere per amore nostro e per la nostra salvezza. Ora tocca a noi fare la nostra part; e, se non vogliamo farla, o se vogliamo fare tutto il contrario, se vogliamo rifiutare il Vangelo, o, quel che è assai peggio, falsificarlo, inquinarlo, adulterarlo, Lui non ci fulminerà sull’istante: ci lascerà il tempo per ravvederci, per mettere alla prova la nostra fede e quella degli altri uomini, per dare il tempo alle forze buone che sono presenti in ciascuno di noi, di affiorare e d’impegnarsi nella lotta, per il ripristino della verità e della giustizia.

Ma ecco le parole precise adoperate dal papa in quella occasione (da: Papa Francesco ed Eugenio Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, Torino, Einaudi, 2013, pp. 53):

FRANCESCO: I più gravi mali che affliggono il mondo in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra e il guaio è che non li cercano più. Sono stati schiacciati sul presente. Mi dica lei: si può vivere schiacciati su presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così? Questo, secondo me, è il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte sé.

Sì, avete capito bene: per il papa, da poco eletto, il problema più grande che la Chiesa deve affrontare è quello economico-sociale: la mancanza di lavoro per i giovani e l’abbandono dei vecchi. Non è l’allontanamento degli uomini da Dio, cosa che, a sua volta, innesca tutta una serie di mali e di storture, sociali e morali, compresi i due problemi evidenziati dal papa. No: sono proprio i problemi, ciò che la Chiesa deve affrontare per prima cosa. Su Dio, neanche una parola; sul peccato, nemmeno. Non si direbbe che a parlare sia il papa; sembra un sociologo, o un sindacalista, o un uomo politico. Quel che dice non è privo di buon senso, ma è del tutto incongruo, e quanto meno incompleto, sulla bocca del papa. Per un cristiano, tutto passa dal rapporto con Dio: se l’uomo vive con Dio, anche i suoi problemi si avviano a soluzione; se se ne allontana, i suoi problemi si moltiplicano. È molto semplice: lo sa anche un bambino che frequenta le prime lezioni di catechismo. Ma papa Francesco non lo sa, lo ignora. Oppure vuole ignorarlo? Secondo noi, è impossibile che non lo sappia; è impossibile che non si renda conto del disagio, del turbamento, del dolore che le sue parole provocano a milioni di fedeli; non gliene importa. Non ha compassione, perché non è un vero pastore. E non è neppure cattolico: quel che vuol fare, è seminare dubbi, incertezze, confusione; poi, quando i fedeli saranno smarriti e sconcertati quanto basta, passerà — e ormai lo sta facendo – alla seconda fase: la proposta di un cattolicesimo "rinnovato", che sarà, in effetti, tutt’altra cosa dal cattolicesimo. dove Cristo sarà solo un profeta, la vita eterna un mito, il peccato un semplice errore, la redenzione una favola, e la salvezza sarà una faccenda unicamente umana, terrestre. Ci salveremo se daremo lavoro a tutti, ci prenderemo cura dei vecchi e ridurremo le emissioni inquinanti; se saremo abbastanza amorevoli verso la natura. Ma tutto questo non ha nulla a che fare col Vangelo: e vi stiamo già assistendo. Anche la tanto decantata enciclica Laudato si’ potrebbe essere stata scritta da un non cristiano, da un buddista, da un ateo. Questa osservazione, probabilmente, al papa non dispiacerebbe affatto: abbiamo visto che egli si gloria di non essere identificato col cattolicesimo, tanto anche Dio stesso, a suo dire, non è cattolico. E poi, lo ha detto e lo ripete in continuazione:, col clericalismo, è tempo che la Chiesa si rivolga a tutti gli uomini di buona volontà: ciascuno con la sua idea di bene, ciascuno con la sua particolare filosofia e religione. Non è precisamente quel che insegnava Gesù Cristo, ma che importa? È quel che sta insegnando papa Francesco, ed è la ragione per cui le sue parole e i suoi gesti piacciono così tanto a Eugenio Scalfari, a Emma Bonino, e piacevano tanto a Marco Pannella. Appunto perché non sono parole e gesti da cattolico.

Poi, sempre nella stessa intervista, poche battute dopo (pp. 55-56) osservava:

FRANCESCO: Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la coscienza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un contro ho voglia do farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante. Conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l’importante è che portino verso il Bene.

SCALFARI: Santità, esiste una visone del Bene unica? E chi la stabilisce?

FRANCESCO: Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarli a procede verso quello che lui pensa sia il Bene.

SCALFARI: Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa.

FRANCESCO: E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo.

Un nostro carissimo amico si è risentito, o scandalizzato, perché abbiamo affermato che il papa bestemmia. Be’, queste sue affermazioni sono una duplice bestemmia: e risalgono a quasi quattro anni fa. È una bestemmia dire che il proselitismo è una solenne sciocchezza, perché equivale a smentire il preciso mandato di Gesù ai suoi discepoli, ed equivale a irridere il sacrificio e il martirio d’innumerevoli cristiani nel corso della storia, che si sono esposti a ogni privazione e a ogni rischio per testimoniare il Vangelo. Ed è una bestemmia dire che il compito dei cristiani e della Chiesa è quello di accompagnare ogni essere umano verso la "sua" verità, verso ciò che ciascuno reputa il Bene. La Chiesa non ha più una verità da insegnare, tanto meno una verità assoluta: ha solo il compito di sostenere, come un buon psicologo, il percorso soggettivo di ciascun essere umano. Ma dire che Cristo è la Via, la Verità e la Vita, questo mai! Che orrore, che medioevo: sarebbe una forma di clericalismo! E il papa Francesco, si sa, ce l’ha a morte col clericalismo. Nessuno potrà mai dire questo di lui: che è un papa clericale.

Inutile far notare che quel che dice Francesco non solo è del tutto alieno dal Vangelo e dal cattolicesimo (qualcuno s’immagina che Gesù dicesse alla samaritana: Be’, se in cuor tuo ti pare giusto vivere come stai vivendo, cambiando continuamente marito, e adorando Dio come fate voi Samaritani, io non posso che augurarti buona fortuna, e, anzi, ti incito a seguire quel che ti suggerisce il tuo cuore?; oppure Gesù che raccomanda ai suoi apostoli: L’importante non è fare proselitismo, ma ascoltare i bisogni della gente, far nascere nuove idee, ampliare la cerchia dei pensieri? a quanto pare, Bergoglio se lo immagina); è anche del tutto estraneo al più elementare buon senso. Se fosse vero che basta seguire la propria coscienza, come mai nella storia ci sono stati Hitler, Stalin e la bomba atomica? E qui si arriverebbe al nocciolo della questione: il papa non parla mai del peccato, né dell’uomo peccatore: basta che ognuno segua la propria coscienza, e subito il mondo intero comincerà ad andare meglio. Lo ha proprio detto: si rilegga l’ultima frase sopra citata. Incredibile. Perfino un bambino vedrebbe l’inghippo: che qui non c’è alcun posto per Dio, per la sua grazia, per la sua redenzione; che l’uomo può fare da solo; e che può rendere il modo migliore, solo seguendo ciò che per lui è bene. Peccato che, per Hitler, fosse bene eliminare qualche milione di ebrei, e, per Stalin, qualche milione di suoi connazionali, verso i quali nutriva scarsa fiducia. Per i terroristi islamici (una categoria invisibile, secondo Francesco, il quale non vuole neppure sentirla nominare, sostenendo che non esiste) il bene è farsi saltare in aria in mezzo a dei bambini e a degli adolescenti, ovviamente in nome di Allah.

L’uomo senza Dio è capace di qualsiasi aberrazione: ma questo concetto non sembra appartenere a papa Francesco. A lui appartiene il concetto dell’autosufficienza dell’uomo, il che è la religione gnostico-massonica condivisa con Eugenio Scalfari. Strano che neppure quando il suo interlocutore gli ha detto, con rapita ammirazione: Penso che quello [cioè il passaggio sul relativismo etico] sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa, a Francesco sia spuntata nel cranio questa semplicissima e ovvia domandina: Come mai costui, che è un nemico dichiarato della Chiesa e dell’etica cristiana, mi sta tributando delle lodi talmente sperticate?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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