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24 Ottobre 2015
«Gaudete in Domino semper»
24 Ottobre 2015Peccato che Freud, nella sua teoria sull’interpretazione dei sogni, non si sia occupato dei sogni di don Giovanni Bosco, anche se la ragione è fin troppo evidente: se lo avesse fatto, perfino lui avrebbe avuto parecchie difficoltà a tirare in ballo il complesso di Edipo, la paura della castrazione, l’odio e l’antagonismo per il padre, il desiderio sessuale per la madre. Anzi, avrebbe fatto molta fatica anche soltanto a tirare in ballo il sesso, in qualunque forma si voglia: eterosessuale oppure omosessuale, magari mascherato; per non parlare dei supposti traumi infantili, sempre — ovviamente — di natura sessuale. Perché nei sogni di don Bosco, con tutta la buona volontà (o la cattiva, secondo i punti di vista), l’elemento sessuale sembra davvero inesistente.
Non basta. In molti sogni di don Bosco compaiono delle chiare premonizioni, il cui significato è apparso, in un primo tempo, inspiegabile, ma che si è chiarito poi, nel corso del tempo, magari a distanza di anni: e qui entra in scena un ulteriore elemento tabù per la psicanalisi freudiana (ma non per quella junghiana): quello relativo alle dimensioni misteriose — non semplicemente "inconsce" — dell’io, e alle manifestazioni del paranormale. Tutta robaccia, secondo Freud: roba da Medioevo, buona per le fattucchiere e per le vecchiette ignoranti e credulone; roba indegna del secolo progredito in cui egli viveva e in cui era chiamato a portare i lumi della sua teoria pansessuale. Si trattava di quella che lui chiamava "la nera marea di fango", vale a dire l’aborrito irrazionale; ed è appunto a tale proposito, oltre che sulla esclusività del fattore sessuale nella genesi delle nevrosi, che si consumò la rottura con il discepolo Jung.
Del resto, Freud era così poco scienziato da non pensare affatto che una teoria scientifica degna di questo nome si dovrebbe confrontare precisamente con quegli elementi che tendono, almeno in apparenza, a contraddirla e a smentirla. No; lui era della pasta degli pseudo-scienziati: quelli che amano vincere facile, quelli che preferiscono misurarsi con gli elementi a favore e soltanto con essi, chiudendo occhi e orecchi davanti a tutto il resto. Quelli che prima stabiliscono una teoria esaustiva per ogni possibile fenomeno, poi vanno a cercare gli elementi di conferma: cosa, evidentemente, semplicissima, dato che, nella loro teoria, gli elementi di smentita semplicemente non esistono. Non possono esistere, non devono esistere: perché, se esistessero, metterebbero in crisi le elucubrazioni del genio. Quelli che non amano i fatti, se i fatti non vanno d’accordo con le loro convinzioni e con i loro pregiudizi; ma che li amano solo a patto di trovarvi altrettante pezze d’appoggio. Allora sì, che questa categoria di pseudo-scienziati dice di amare i fatti, si dichiara realista e ostenta il massimo disprezzo per chi si limita a formulare "vuote" teorie. Ma le teorie sono "vuote" o "piene", per costoro, non in base alla loro coerenza interna, ma in base ai presupposti da essi stabiliti in partenza riguardo a ciò che è possibile e a ciò che non lo è. La teoria dell’inconscio collettivo, per Freud, non era possibile: dunque, non valeva la pena di confutarla. Si trattava chiaramente di ciarlataneria, punto e basta: roba indegna di uno scienziato "serio".
Dunque, tornando ai sogni di don Bosco: assenza totale di componenti sessuali e, di contro, frequenti premonizioni del futuro: ecco due cose parimenti inaccettabili per il positivismo di Freud; dunque, molto meglio girare la testa dall’altra parte e fingere di non vedere, di non sapere niente. Del resto, don Bosco era una persona normale, nel senso che non era affetta da particolari turbe psichiche (anche se un vero freudiano direbbe prontamente che la santità è già una forma di nevrosi permanente); e le teorie di Freud sul sogno, come anche quelle sulle malattie psichiche, sono tutte basate sull’analisi di persone gravemente disturbate.
Vale comunque la pena di soffermarsi sui sogni di don Bosco; prendiamo, a titolo di esempio, il primo di quelli relativi alle future missioni salesiane in Patagonia, fatto nel 1872 e da lui raccontato a Pio IX nel marzo 1876 (da: «I sogni di Don Bosco», a cura di Pietro Zerbino, Torino, Elledici, 1995, pp. 130-1):
«Mi parve di trovarmi (…) in una regione selvaggia e affatto sconosciuta. Era un’immensa pianura tutta incolta, nella quale non si scorgevano né colline né monti. Ma nelle estremità lontanissime la profilavano tutta scabrose montagne. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, con i capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato e nerognolo, e solo vestiti di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Avevano per ami una specie di lunga lancia e la fionda.
Queste turbe di uomini, sparse qua e là, offrivano allo spettatore scene diverse: questi correvano dando la caccia alle fiere; quelli portavano conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Da una parte gli uni si combattevano tra di loro, altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea, e il terreno era sparso di cadaveri. Io fremevo a quello spettacolo; ed ecco spuntare all’estremità della pianura molti personaggi, i quali, dal vestito e dal modo di agire, conobbi missionari di vari Ordini.
Costoro si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Io li fissai ben bene, ma non ne conobbi alcuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi; ma i barbari, appena li videro, con furore diabolico, con una gioia infernale, li assalivano, li uccidevano, con feroce strazio li squartavano, li tagliavano a pezzi e ficcavano i brani di quelle carni sulle punte delle loro lunghe picche.
Dopo di essere stato ad osservare quegli orribili macelli, dissi tra me: – Come fare a convertire questa gente così brutale?
Intanto vedo in lontananza un drappello di altri missionari, che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti. Io pensavo tremando: – Vengono a farsi uccidere.
E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri salesiani. I primi mi erano noti, e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch’essi missionari salesiani, proprio dei nostri.
— Come va questo? -, esclamavo.
Non avrei voluto lasciarli andare avanti ed ero lì per fermarli. Mi aspettavo da un istante all’altro che incorressero nella stessa sorte degli antichi missionari. Volevo farli tornare indietro, quando vidi che il loro comparire mise in allegrezza tutte quelle turbe di barbari, le quali abbassarono le armi, deposero la loro ferocia e accolsero i nostri missionari con ogni segno di cortesia. Meravigliato di ciò, dicevo fra me: – Vediamo un po’ come andrà a finire!
E vidi che i nostri missionari avanzano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi mettevano in pratica le loro ammonizioni.
Stetti a osservare, e mi accorsi che i missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte le parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera.
Dopo un poco i salesiani andavano a disporsi al centro di quella folla che li circondò, e s’inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei missionari, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei salesiani intonare: "Lodate Maria, o lingue fedeli…", e tutte quelle turbe, a una voce, continuare il canto di detta lode, così all’unisono e con tanta forza di voce che io, quasi spaventato, mi svegliai.
Questo sogno fece molta impressine sul mio animo, ritenendo che fosse un avviso celeste.»
Don Bosco non era forte in geografia, né, soprattutto, aveva mai pensato, fino a quel momento, di organizzare una missione, o una serie di missioni, destinate all’estremità meridionale dell’America del Sud. Eppure non solo il paesaggio, le genti e le loro usanze, gli apparvero fedelmente in sogno; due anni dopo, nel 1874, gli giunsero dalla Patagonia pressanti appelli affinché mandasse dei missionari in quella terra, e solo allora si rese conto che era quella la regione, ed erano quelli gli abitanti che aveva visto in sogno; mentre in un primo tempo aveva pensato trattarsi dell’Etiopia, delle Indie o perfino delle Cina meridionale, nei dintorni di Hong-Kong. L’unica cosa che don Bosco sapeva, era che gli abitanti della Patagonia vivevano ancora al di fuori del consorzio civile e che non erano mai stati evangelizzati, anche perché avevano respinto con decisione ogni tentativo compiuto in quel senso: tanto aveva potuto leggere sugli «Annali della propagazione della fede»; e questo era tutto.
«Nelle sue grandi aspirazioni missionarie — ha scritto uno dei suoi biografi, don Eugenio Ceria – affrettava col cuore il giorno in cui avrebbe potuto inviarvi i banditori della divina Parola, quando ebbe questo sogno che molto lo impressionò». Un secondo sogno relativo alle missioni in Patagonia, e anche in altre regioni del continente americano, don Bosco lo fece nel 1883 e lo raccontò ai membri del terzo capitolo generale; don Lemoyne lo mise subito per iscritto, sotto la correzione dello stesso don Bosco. In questo secondo sogno erano presenti anche diversi elementi profetici. Un terzo sogno missionario ebbe luogo nella notte dal 31 gennaio al 1° febbraio 1885; un quarto, riguardante l’Africa e la Cina, si verificò ancora nel 1885, ed egli lo raccontò ai membri del consiglio generale la sera del 2 luglio.
I sogni di don Bosco, particolarmente vividi e, nello stesso tempo, dotati sovente di un potente simbolismo, ebbero inizio quand’egli non aveva che nove anni di età, e proseguirono per tutta la sua vita, come se, nel sonno, si manifestasse quell’ardore di attività che, per dare riposo al corpo, era costretto a trattenere durante la notte. Don Bosco aveva quella che oggi si direbbe una personalità medianica: ebbe visioni del Cielo e dell’Inferno e perfino la visita di anime trapassate, a volte con gravi conseguenze per la sua salute, che ne usciva fortemente scossa. In particolare, quando gli si manifestò l’anima di un amico ventiduenne, Luigi Comollo, appena deceduto, gridandogli di essere salva, ne ebbe un contraccolpo così forte da ammalarsi in modo estremamente serio. L’apparizione era stata accompagnata da un fracasso come di un carro in corsa, che fu udito anche dagli altri, al punto da svegliare l’intera camerata del seminario: notevole esempio di un fenomeno supernaturale che si manifestò non solo al soggetto direttamente interessato, ma, almeno in parte, a un folto gruppo di testimoni, collocandosi, così, oltre la casistica delle "semplici" visioni, per entrare in quella dei fenomeni di natura sia psichica, sia fisica, oggettivamente riscontrabili.
I sogni di don Giovanni Bosco, inoltre, sono i sogni di un soggetto dal temperamento ardente, volitivo, appassionato, energico, praticamente insonne, e molto coraggioso; ma che non rivelano, da qualunque parti li si consideri, tracce di nevrosi, d’isterismo, di morbosità, e nemmeno di sessualità repressa; che non tradiscono lontani traumi infantili, né risvolti edipici: e sì che esisteva un forte legame tra lui e sua madre, che durò inalterato sino alla fine. Nella vita di don Bosco, sia nell’infanzia, sia nella vita sacerdotale, è possibile, volendo — e i freudiani lo vogliono sempre e comunque -, riscontrare circostanze e situazioni che si presterebbero magnificamente a delineare i tratti della personalità edipica, sessualmente frustrata, che sublima in maniera paranoide i propri impulsi insoddisfatti e la propria, potente libido: peccato che, in pratica, nessuno di questi tratti si manifesti in maniera evidente e che neppure dai sogni, pur così numerosi e minuziosamente descritti, traspaia nulla del genere. Eppure, secondo Freud, i sogni, come del resto le nevrosi, sono le finestre dell’anima: e nessuno può barare al gioco, quando sogna, perché, mentre la coscienza si perde nel sonno, gli elementi inconsci fanno liberamente irruzione, a dispetto della censura esercitata dal Super-io, magari mascherandosi al fine di aggirarla.
In poche parole, don Bosco era un uomo psicologicamente e spiritualmente sano: per poterne interpretare i sogni in senso freudiano, bisognerebbe mistificarli. Sono quanto mai espliciti, oppure si esprimono sì, per mezzo di allegorie, ma così evidenti da non richiedere di alcuna particolare esegesi: come quello, notissimo, della battaglia navale e delle due colonne sormontate dai simboli della fede cristiana, dove non occorre alcuno sforzo per riconoscere la lotta sostenuta dalla Chiesa contro i suoi nemici, con un vento avverso e in un mare agitato. Come se non bastasse, parecchi sogni hanno una valenza profetica, come se don Bosco attingesse ad una fonte d’informazioni a lui ignota (non sapeva nemmeno dove fosse la Patagonia!). Perciò essi smentiscono la teoria di Freud…
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