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16 Settembre 2015Domandandoci se sia possibile, per il soggetto umano, trasformare radicalmente, con un atto o con una serie di atti della volontà, la struttura fondamentale del proprio carattere, eravamo giunti ad esprimere un parere negativo (cfr. il precedente articolo «"Esistono – dice Niccolò Machiavelli – tre categorie di cervelli…", apparso sul sito di Arianna Editrice in data 18/07/2011).
Esistono, peraltro, alcuni rarissimi casi nei quali è stato osservato e scientificamente documentato un repentino e sconcertante cambiamento del carattere, con l’insorgere di una nuova personalità, talvolta altalenante, talvolta con la scomparsa definitiva di quella originaria; oppure anche con l’insorgere di una intera costellazione di "nuove" personalità, fino a dieci o dodici, insorgenti a turno in maniera brusca e imprevedibile, al punto da far dubitare di quale si possa definire la personalità principale e quali quelle secondarie.
È la cosiddetta sindrome della personalità multipla, che incuriosisce notevolmente il pubblico ed ha fornito la traccia per svariate opere letterarie e cinematografiche; inoltre verso di esso si è diretta l’attenzione di numerosi parapsicologi, convinti di poter trovare in esso, prima o poi, la chiave di uno dei misteri più affascinanti dell’anima umana.
Non altrettanto, a nostro avviso, il fenomeno ha destato l’interesse dei filosofi: eppure pochi altri fatti, come questo, sembrano in grado di gettare una luce significativa sulla natura dell’essere umano e sui rapporti che intercorrono tra la mente individuale e la Mente cosmica, della quale siamo tutti parte e nella quale ci troviamo immersi, se ci è lecito un paragone certamente imperfetto, ma efficace, come i pesci lo sono nell’acqua del mare.
Tanto per cominciare, gli psicologi sono passati, recentemente, dalla denominazione "disturbo della personalità multipla" a "disturbo dissociativo dell’identità" (la "svolta" è stata registrata nel 1994, con la nuova edizione dell’americano «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali») sottolinea la nuova impostazione del quadro di riferimento: non più diverse personalità all’interno di uno stesso soggetto, bensì un soggetto che non è riuscito ad elaborare nemmeno una personalità veramente completa e, quindi, nel quale si manifesta una significativa crisi o frammentazione della coscienza del Sé.
A dire il vero, se la mancata o l’insufficiente realizzazione del Sé dovesse costituire la caratteristica essenziale della sindrome dissociativa dell’identità, bisognerebbe ammettere che i soggetti ad essa interessati sono legione o, addirittura, che essa è divenuta praticamente la condizione "normale" dell’uomo moderno.
Già questa, in effetti, è una riflessione notevole che ci suggerisce fino a che punto una società malata possieda i mezzi adeguati per porsi in maniera oggettiva e, quindi, efficace dal punto di vista medico e psicologico, nei confronti di ciò che un tempo si riteneva patologico, mentre ora è talmente diffuso che l’eccezione è data dalla sua assenza.
Non è, ripetiamo, una considerazione da poco: essa pone dei formidabili problemi di tipo metodologico, poiché un dato come quello che abbiamo ora esposto mette in crisi la pretesa, tipicamente ottocentesca e positivista, di poter tracciare una chiara linea di separazione tra n normalità e patologia; e, più in generale, mete in cristo la pretesa, da parte di una determinata cultura, dio giudicare ciò che, rispetto ad essa, costituirebbe l’eccezione.
E qui il problema diventa squisitamente filosofico: come può un paradigma culturale "giudicare" un altro paradigma culturale, laddove esso è portato a misurare ogni cosa e ogni evento, a cominciare dal linguaggio di cui si serve, sulla base delle proprie acquisizioni concettuali e del proprio particolare punto di vista rispetto ad ogni singolo aspetto del reale?
Ma di ciò, a fra poco.
Prima, vogliamo richiamare alla mente del lettore in che cosa consista questa strana, inquietante sintomatologia; la quale, se non fosse stata documentata irrefutabilmente, al di là di ogni possibile dubbio, sembrerebbe uscita dalla fantasia eccitata di qualche romanziere o dall’incubo notturno di un sognatore seriamente disturbato a livello emotivo.
Un caso "classico" di cambiamento improvviso del carattere è riportato nel saggio di Carl Gustav Jung «Psicologia dei fenomeni occulti» (titolo originale: «Zur Psychologie und Pathologie sogenannter okkulter Phänomene», traduzione di Celso Balducci, Roma, Newton Compton editori,, 1971, pp. 87-88):
«Il cambiamento di carattere è la caratteristica più impressionante di questo "secondo stato". In letteratura si trovano parecchi casi n cui fu osservato questo sintomo del cambiamento spontaneo di un individuo. Il primo che sia stato reso noto in una rivista scientifica è quello di Mary Reynolds, pubblicato da Weir Mitchell. («Mary Reynolds, a case of double consciousness», 1888. Anche in «Harper’s magazine», 1860. Riportato per esteso in William James, «Principle of Psychology», 1891, p. 291 sgg.) Si tratta di una giovane che viva in Pennsylvania nel 1811. Dopo un profondo sonno durato circa venti ore costei aveva completamente dimenticato tutto il suo passato e quanto aveva imparato; persino le parole che pronunciava non avevano più senso per lei. Non riconosceva nemmeno i parenti. A poco a poco imparò a leggere e a scrivere, ma ora la sua scrittura andava da destra a sinistra. Però il cambiamento del carattere era anche più impressionante. "Adesso, anziché malinconica, era eccessivamente allegra. Anziché riservata, era comunicativa e ottimista. Prima era taciturna e cercava di appartarsi; ora era lieta e scherzosa. La sua indole era completamente e assolutamente cambiata. (Cfr. Emminghaus, "Allgemeine Psychopatologie", 1878, p. 129, caso di Ogier Ward.)
Trovandosi in questo stato ella abbandonò completamente la vita ritirata che conduceva in precedenza e intraprese, disarmata, avventurose spedizioni per boschi e per montagne, a piedi e a cavallo. Durante una di queste spedizioni incontrò un grande orso bruno che scambiò per un maiale. L’orso si reggeva ritto sulle zampe posteriori e la guardava digrignando i denti. Non riuscendo a far avanzare il cavallo, si avvicinò all’orso a piedi e lo percosse con un comune bastone finché la bestia non fuggì. Cinque settimane dopo cadde in un profondo sonno e al risveglio era tornata quella di una volta, con totale amnesia del periodo intermedio. I due stati si alternarono per circa sedici anni, ma, negli ultimi venticinque anni di vita, Mary Reynolds visse esclusivamente nel secondo stato.»
In questa sede eviteremo di affrontare l’ipotesi estrema, e cioè che il brusco e radicale cambiamento del carattere di un determinato soggetto possa essere il risultato di uno "scambio di anime", fenomeno rarissimo che si verifica allorché il corpo astrale di un soggetto, proiettatosi nello spazio in circostanze volontarie o anche involontarie, non riesce a rientrare nel proprio corpo fisici, vuoi perché si è spezzato il "cordone d’argento" che lo teneva legato ad esso, vuoi perché un’altra entità spirituale se ne è impadronita intenzionalmente: quella di un essere umano disincarnato, quella di un essere umano che pratica la magia nera (e in questo caso si può verificare un doppio scambio, nel senso che il soggetto "sfrattato" dal proprio corpo fisico potrebbe entrare in quello del suo invasore), sia, infine, da uno spirito di natura non umana ed evidentemente di natura malvagia (ne abbiamo già parlato in numerosi articoli e specialmente in quelli intitolati «È possibile eseguire per mezzo della magia nera una sostituzione di anime?» e «Il caso di frate Alberigo», entrambi consultabili nella rubrica «Altra dimensione» di Edicolaweb).
Qui ci limiteremo, pertanto, alla "normale" fenomenologia psicologica del disturbo dissociativo della personalità e ci soffermeremo soprattutto sulle sue implicazioni filosofiche: se è vero, come è vero, che un fenomeno di questo genere pone una serie di interrogativi estremamente inquietanti, pur se affascinanti, riguardo alla reale natura dell’anima umana e a ciò che comunemente sappiamo di essa o che, piuttosto, crediamo di sapere in proposito.
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